Collage etico di una comunità psichiatrica messa a soqquadro.
Una riunione di condominio, dove tutti si conoscono e nessuno si parla. Un cortile dove affacciano uomini relegati dietro le finestre delle loro abitazioni, dietro vetri colorati da cui sognano avventure. È un'esistenza triste. È la vita di "un matto" che ha un mondo nel cuore ma non riesce ad esprimerlo con le parole. Senza parole e senza espressione.
Così, nascosti da una plastica maschera bianca, il regista Michele Zizzari presenta la compagnia Il dirigibile, formata dagli ospiti e dagli operatori del Dipartimento di Salute Mentale di Forlì.
Svelato il volto de Il Cortile delle storie sospese, siamo catapultati nell'irrealtà di un disagio mentale vivo ma sedato. Ci caliamo improvvisamente nel ruolo severo di giudici: non riusciamo ad accettare la fragilità e la difficoltà, per tutti, di esserci.
Non attori che si fingono "pazzi", ma "pazzi" che si fingono attori. Occhi spenti, sbarrati, smarriti, faticano a posarsi sui volti in platea. Voci labili, rauche, rotte, riescono a stonare la predisposta armonia dell'ascolto. Sono gli occhi e la voce di una moglie senza marito. Gli occhi e la voce di una madre senza figlio. Di un'amante senza amore. Personaggi surreali che vagano nell'assenza di un'essenza scenica, tra luci statiche e musiche stitiche. Un grottesco delirio che racconta una ferita aperta dalla quale, cronici, non riescono a uscire.
Solo danzando, per un momento, li scorgiamo attori sicuri e sfrontati ancheggiare quel ritmo ancestrale. O forse, semplici uomini e donne, finalmente liberi di esprimersi come gli pare nel caos della piazza in rivolta dove, con una citazione di De Andrè, "Un matto" non sembra rivolgersi al pubblico, ma al suo regista: E sì, anche tu andresti a cercare le parole sicure per farti ascoltare: per stupire mezz'ora basta un libro di storia, io cercai di imparare la Treccani a memoria, e dopo maiale, Majakowsky, malfatto, continuarono gli altri fino a leggermi matto.
Una riunione di condominio, dove tutti si conoscono e nessuno si parla. Un cortile dove affacciano uomini relegati dietro le finestre delle loro abitazioni, dietro vetri colorati da cui sognano avventure. È un'esistenza triste. È la vita di "un matto" che ha un mondo nel cuore ma non riesce ad esprimerlo con le parole. Senza parole e senza espressione.
Così, nascosti da una plastica maschera bianca, il regista Michele Zizzari presenta la compagnia Il dirigibile, formata dagli ospiti e dagli operatori del Dipartimento di Salute Mentale di Forlì.
Svelato il volto de Il Cortile delle storie sospese, siamo catapultati nell'irrealtà di un disagio mentale vivo ma sedato. Ci caliamo improvvisamente nel ruolo severo di giudici: non riusciamo ad accettare la fragilità e la difficoltà, per tutti, di esserci.
Non attori che si fingono "pazzi", ma "pazzi" che si fingono attori. Occhi spenti, sbarrati, smarriti, faticano a posarsi sui volti in platea. Voci labili, rauche, rotte, riescono a stonare la predisposta armonia dell'ascolto. Sono gli occhi e la voce di una moglie senza marito. Gli occhi e la voce di una madre senza figlio. Di un'amante senza amore. Personaggi surreali che vagano nell'assenza di un'essenza scenica, tra luci statiche e musiche stitiche. Un grottesco delirio che racconta una ferita aperta dalla quale, cronici, non riescono a uscire.
Solo danzando, per un momento, li scorgiamo attori sicuri e sfrontati ancheggiare quel ritmo ancestrale. O forse, semplici uomini e donne, finalmente liberi di esprimersi come gli pare nel caos della piazza in rivolta dove, con una citazione di De Andrè, "Un matto" non sembra rivolgersi al pubblico, ma al suo regista: E sì, anche tu andresti a cercare le parole sicure per farti ascoltare: per stupire mezz'ora basta un libro di storia, io cercai di imparare la Treccani a memoria, e dopo maiale, Majakowsky, malfatto, continuarono gli altri fino a leggermi matto.
Antonio Raciti
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