CHI SIAMO

Second Open Space Teatro presenta la seconda edizione bloggistica del laboratorio di scrittura critica focalizzato sugli eventi della stagione 2009 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti scenici.

S.O.S. come acronimo di Second Open Space, imperiodico foglio online scritto da studenti della Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell'Università di Bologna, che si cimentano con l'analisi e il racconto dello spettacolo, sotto la guida di Massimo Marino.
S.O.S. come segnale, allarme, chiamata all'intervento, alla partecipazione e alla collaborazione per creare e accrescere gli sguardi sulla realtà teatrale attraverso cronache, interviste, recensioni, approfondimenti.
S.O.S. come piattaforma online di soccorso al pensiero aperta a commenti, suggestioni, contributi esterni da parte dei lettori.

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DIRETTORE Massimo Marino

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Tomas Kutinjac

WEB Elisa Cuciniello

SCRIVONO Emilia Biunno, Elisa Cuciniello, Irene Cinti, Sandro Ghisi, Tomas Kutinjac, Stefano Serri
- e per la rassegna DiversaMente - Alessandra Cava, Alessandra Ferrari, Antonio Raciti

ATTENZIONE! Questo blog è realizzato dal laboratorio in completa autonomia dal DMS dell’Università di Bologna

mercoledì 18 marzo 2009

APPLAUSI BELLI, SINCERI

LA TORRE, Teatro Casa Basaglia
L'onda del Teatro Casa Basaglia raggiunge Bologna: disordine in ogni mente.
Quando un poeta diventa pazzo, anche la sua lingua e le sue poesie impazziscono? La domanda si complica se di fronte a noi abbiamo Friedrich Hölderlin uno dei più grandi poeti del periodo romantico. Nel 1807 viene ricoverato in una clinica psichiatrica a Tubinga a seguito delle continue crisi causate dalla malattia mentale. Dopo essere stato dichiarato incurabile viene affidato a una famiglia di buona cultura che lo fa vivere all’ultimo piano della casa nella stanza circolare che egli stesso denominerà “la torre”. Qui il poeta trascorrerà gli ultimi quarant’anni della sua vita. Dalla finestra ogni giorno riusciva a scorgere tutta la valle circostante e il fiume Neckar. Nascono lì, da quelle vedute, le “poesie della torre” che i pazienti psichiatrici della compagnia Teatro Casa Basaglia il 25 febbraio 2009 interpretano in uno spettacolo itinerante diviso in cinque stanze tra le statue e i dipinti dell’Accademia delle Belle Arti di Bologna.
L’incontro con questo spettacolo/viaggio è stato reso possibile grazie al progetto a cura di Tihana Maravic Out/Fuori ospitato al centro La Soffitta di Bologna. Un itinerario teatrale che attraversa l’esperienza di Franco Basaglia trent’ anni dopo la creazione e l’ufficializzazione della legge 180 a lui ispirata che impose la chiusura dei manicomi.
Nel 2004 l’artista Nazario Zambaldi organizzò un laboratorio teatrale nel centro di riabilitazione Casa Basaglia di Sinigo nei pressi di Merano.
Il regista lavorò con i pazienti psichiatrici facendo riscoprire in loro la vocazione per il teatro e creando una vera compagnia.
Questo spettacolo che viene ospitato a Bologna durante questi tre giorni dedicati ai “matti” fu presentato per la prima volta nel 2008 al Castello Principesco di Merano. Ora accompagnano noi verso la sommità della torre, verso paesaggi e vedute diverse da quelle quotidiane, in alto verso il debole limite tra “normalità” e “pazzia”.
Accompagnato dal regista lo spettatore si inoltra piccolo piccolo tra le immense statue e gli incombenti dipinti dell’Accademia per arrivare nel primo spazio. Una stanza rettangolare, stesi per terra tre bagnanti con costumi da bagno fine anni ‘20, sullo sfondo un pianista e un uomo in piedi, tutti e due di spalle. Una voce tra il pubblico legge in tedesco una poesia, l’uomo in scena di spalle si gira e la recita in italiano.
Anche i tre bagnanti a turno la riprendono e si lascia lo spazio sulle dolci note di un pianoforte. Il bilinguismo che caratterizza la lettura delle poesie in ogni scena ci riporta un po’ da Hölderlin in Germania e un po’ da loro a Merano, dove, per la vicinanza con l’Austria, si parlano italiano e tedesco. Le due letture sembrano diverse a seconda della lingua, il tedesco è cadenzato, ritmato come prevede la sua prosodia per la lettura di poesie, l’italiano risulta semplicemente letto.
Il secondo quadro lascia lo spettatore fuori dallo spazio scenico, come se stesse guardando dal buco di una serratura il corridoio di una clinica dove un paziente cammina accompagnato dall’infermiera sulle note di “Splendido Splendente” di Donatella Rettore. Anche qui viene letta un’altra poesia, “Veduta”. Ogni brano non è scelto a caso, è associato da un filo logico a ogni scena, il rapporto quindi poesia/situazione è chiaro e forte.
Continua l’itinerario in una stanza spoglia e grigia, quasi in fase di costruzione o di smantellamento. Ora il soundtrack è la voce roca e malinconica di un anziano attore, che, dopo la lettura in due lingue di un’altra poesia “Le linee della vita”, percorre sulle note di una canzone degli alpini le linee della sua giovinezza. Subito dopo un altro attore nonché suo fratello, nell’angolo opposto, si confronta con una fotografia proiettata sul muro che lo ricorda ventenne e lì, per noi o forse più per quel se stesso, suona con l’armonica la melodia appena cantata. Forte più delle altre mi è parsa questa scena, non c’erano più né “matti”, né vecchi, né malati, c’erano soltanto due fratelli e il loro ricordo di un tempo forse per loro migliore. Così anche noi, di fronte a questa tenera immagine, siamo catapultati indietro nella storia per vivere con loro questa malinconica festa.
Il prossimo appuntamento per lo spettatore è davanti a uno specchio dove vede sia se stesso che l’attore con il copione in mano che legge la poesia “Mensch”. Sul suo riflesso, attraverso un semplice gioco di luci, appare il secondo attore, al di là dello specchio, diventato ora un semplice vetro, che recita “Uomo”.
Giunto alla fine del percorso le spettatore si trova in una sala molto ampia nel mezzo della quale attori e tecnici dello spettacolo intonano insieme la canzone popolare “Cinque sorelle da maritar”: ogni attore si “sposerà” allora con una delle sorelle/bambole al centro della scena.
Un finale che porta aria di festa, di sagra, di comunione con tutti che rispecchia la semplicità della messa in scena e giustifica le imprecisioni.
Una mezz’ora per guarire loro “matti” o noi “normali”? E chi è proprio sicuro che la collocazione di questi “loro” e “noi” sia esatta e per niente interscambiabile? Il teatro come un’esperienza per sanare le menti o per creare caos, per capire o per non capire più qual è la linea di confine?
La risposta forse sta solo nella malinconia delle parole lette che si trasforma nella tenerezza del viso degli attori circondati dalla gente che applaude l’ultima scena; sta nella domanda del regista “Belli gli applausi?” a un protagonista e nella sua risposta “Applausi belli, sinceri”.

Francesca Bucella

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