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Second Open Space Teatro presenta la seconda edizione bloggistica del laboratorio di scrittura critica focalizzato sugli eventi della stagione 2009 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti scenici.

S.O.S. come acronimo di Second Open Space, imperiodico foglio online scritto da studenti della Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell'Università di Bologna, che si cimentano con l'analisi e il racconto dello spettacolo, sotto la guida di Massimo Marino.
S.O.S. come segnale, allarme, chiamata all'intervento, alla partecipazione e alla collaborazione per creare e accrescere gli sguardi sulla realtà teatrale attraverso cronache, interviste, recensioni, approfondimenti.
S.O.S. come piattaforma online di soccorso al pensiero aperta a commenti, suggestioni, contributi esterni da parte dei lettori.

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DIRETTORE Massimo Marino

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Tomas Kutinjac

WEB Elisa Cuciniello

SCRIVONO Emilia Biunno, Elisa Cuciniello, Irene Cinti, Sandro Ghisi, Tomas Kutinjac, Stefano Serri
- e per la rassegna DiversaMente - Alessandra Cava, Alessandra Ferrari, Antonio Raciti

ATTENZIONE! Questo blog è realizzato dal laboratorio in completa autonomia dal DMS dell’Università di Bologna

mercoledì 25 novembre 2009

L'ARTIGIANO DELLA REGIA

Abbiamo incontrato il regista Gabriele Tesauri che, con il suo Rusco – De rerum natura, inaugura il festival DiversaMente. Tesauri, giovane artista formatosi con numerose e diversificate esperienze, ha affrontato la sua seconda regia con la compagnia Arte e Salute formata dai ragazzi del Dipartimento di Salute Mentale - A.u.s.l. di Bologna.

La visione della generale di Rusco ci ha dato l’impressione che si tratti di un minuzioso lavoro di “artigianato”, capace di creare una solida e matura opera d’arte.
Tu sei regista, ma prima sei stato attore, ti occupi di teatro, ma ti è capitato di fare anche cinema. Perché hai scelto di arrivare gradualmente alla regia?
«La regia è stata sempre una mia passione, ed è un ruolo che sento appartenermi, ma ho iniziato il mio percorso con la scuola di recitazione Galante Garrone di Bologna, diplomandomi nel 1995. Qualche anno dopo sono entrato a far parte della compagnia Arte e Salute, inizialmente come attore e successivamente come assistente alla regia di Nanni Garella, direttore della compagnia. Credo molto nei registi che arrivano da questo tipo di formazione. È indispensabile conoscere il meccanismo dall’interno per poterlo mettere in moto nel modo migliore. Vedo il teatro come una forma di artigianato, dove ogni tanto avviene un piccolo miracolo per cui un oggetto artigianale diventa un capolavoro, un’opera d’arte appunto.
Il cinema invece lo faccio quando mi chiamano gli amici, come Guido Chiesa. È un altro mondo, un altro modo di interpretare questo mestiere e sicuramente se in teatro devi amplificare, nel cinema devi lavorare di interiorità, di sottrazione. Se capiterà continuerò a farlo, parallelamente alla mia attività in teatro, perché credo che l’esperienza sia sempre utile. Il cinema è un’ottima palestra e devo ammettere che mi diverte molto».

Cosa puoi riportarci della tua esperienza al fianco di Nanni Garella?
«Il mio rapporto con Nanni Garella è iniziato molti anni fa, sui banchi della Galante Garrone dove ero suo allievo. Oggi c’è una grossa stima reciproca. Considero anche Nanni un artigiano, lui viene dalla scuola di Castri e ha sviluppato un modo di lavorare che io ammiro. Nei suoi lavori c’è una grandissima fedeltà al testo. È il testo che ti racconta tutto quello che devi mettere in scena, ed è da lì che bisogna partire. Non da idee puramente teoriche, cercando forzatamente di costringere il testo a quell’idea, a quei dogmi. Nel nostro lavoro devi metterti umilmente a servizio di quei materiali che hai e da lì iniziare a costruire in maniera lineare, in maniera consequenziale. Facendo così, anche la creatività viene rafforzata. Ho imparato molte cose da Nanni, per me è un maestro, e continuare a lavorare con lui è molto stimolante».

Come e quando è nato il tuo rapporto con la compagnia Arte e Salute?
« È nato come attore, per la messinscena del loro primo lavoro, Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, nel 1999. L’esperienza è stata intensa e il nostro rapporto si è rafforzato dopo il mio passaggio professionale ad assistente alla regia. La mia partecipazione emotiva al progetto è sempre stata molto forte, e vedendo i risultati di questa operazione e osservando come queste persone sono cambiate, si sono trasformate negli anni, è logico che diventa sempre più impensabile separarsi. Abbiamo condiviso un percorso e oggi ci sentiamo una grande famiglia».

Che tipo di rapporto hai con i ragazzi della compagnia Arte e Salute e come lavori con loro?
«Fin da subito l’idea di questo progetto era quella di creare una compagnia di professionisti, cioè di lavoratori dello spettacolo. I nostri attori, dopo un corso di formazione di alcuni anni, hanno ricevuto il libretto Enpals, per cui sono dei professionisti e noi ci rapportiamo a loro in modo assolutamente professionale. Non sappiamo fare altrimenti, non conosciamo i metodi terapeutici, per cui ci comportiamo come con tutti gli altri attori, e abbiamo riscontato che questo funziona. Queste persone, alle quali viene data la possibilità di lavorare, hanno un miglioramento della loro vita perché vengono reinseriti nella società, fanno qualcosa di riconosciuto, e fanno anche qualcosa che altri non sanno fare. Tutto questo risulta un valore aggiunto nella socializzazione, quando si confrontano con le altre persone nella quotidianità.
Mi reputo fortunato a lavorare con i componenti di questa compagnia. Hanno una notevole capacità di improvvisazione, di immedesimazione nel personaggio, qualità che professionisti usciti dalle scuole fanno molto fatica a raggiungere in breve tempo, e che in loro invece è comparsa immediatamente. Nello stesso tempo posseggono una grande capacità epica, per questo ho messo in scena i Drammi didattici di Brecht, e funziona bene anche Pinter (che metteremo in scena con Nanni questa primavera). Hanno questa epicità, questa scissione, quasi naturale. In loro puoi vedere chiaramente il gioco del dentro e fuori, quel “sono un attore e sto facendo una parte”».
Inauguri il festival “DiversaMente” con lo spettacolo Rusco - De rerum natura, liberamente ispirato a Lucrezio. Quale rapporto intellettuale hai con l’autore e con l’idea di «recupero» che è alla base dello spettacolo?
«Rusco nasce dalla collaborazione con il Gruppo Hera, e con la voglia di occuparci di ambiente.
I nostri ragazzi hanno fatto i reporter e sono andati nei vari siti di Hera raccogliendo materiale. Analizzando quello che avevamo osservato, ci siamo ritrovati tutti colpiti dal processo di riciclaggio dei rifiuti. Un oggetto che viene buttato, attraverso il riciclo e la trasformazione, può essere rimesso in circolo come qualcosa di utile all’interno di un circuito sociale. Abbiamo pensato di partire dall’origine dell’indagine di questo tema e tra i primi c’era sicuramente Lucrezio e quindi Epicuro, con l’idea che “nulla nasce da nulla ma tutto viene generato da una distruzione precedente che diventa una creazione nuova”.
Lucrezio, traduttore di Epicuro per i Romani, è stato un grandissimo poeta. È riuscito nel “ gioco” che vorrei fare io, cioè grandi teorie filosofiche portate con una forma poetica che risulti accattivante. Il mio tentativo è quello di tradurre nuovamente queste teorie filosofiche, in una maniera non ammorbante, sì che possano divertire e interessare, e magari anche emozionare».

Sia in Rusco, che precedentemente in Drammi didattici, tramite la compagnia Arte e Salute, hai raccontato storie di vita quotidiana, che rispecchiano i quesiti esistenziali della società moderna. Da cosa nasce in te questa esigenza?
«Le domande sull’esistenza, o quelle che Brecht proponeva nei Drammi in una visione un po’ più didattica, oppure i quesiti che vengono posti in Rusco, sono argomenti che mi interessano personalmente, perché credo che fare questo mestiere, e quindi fare l’artigianato, è fare qualcosa in cui credi. Per me la forza del teatro sta nel riuscire a dare una visone diversa del mondo, portare il pubblico a porsi dei quesiti che permettano di prendere la vita in maniera diversa. Metterlo in scena con i ragazzi è molto semplice perché loro anche nella quotidianità ti raccontano che si può vivere in un altro modo, rispetto a “quell’ansia del benessere” tipico della nostra società. I miei attori sono sempre lì a dirmi: “Ma che problemi ti fai?”».

Antonio Raciti

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