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Second Open Space Teatro presenta la seconda edizione bloggistica del laboratorio di scrittura critica focalizzato sugli eventi della stagione 2009 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti scenici.

S.O.S. come acronimo di Second Open Space, imperiodico foglio online scritto da studenti della Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell'Università di Bologna, che si cimentano con l'analisi e il racconto dello spettacolo, sotto la guida di Massimo Marino.
S.O.S. come segnale, allarme, chiamata all'intervento, alla partecipazione e alla collaborazione per creare e accrescere gli sguardi sulla realtà teatrale attraverso cronache, interviste, recensioni, approfondimenti.
S.O.S. come piattaforma online di soccorso al pensiero aperta a commenti, suggestioni, contributi esterni da parte dei lettori.

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DIRETTORE Massimo Marino

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Tomas Kutinjac

WEB Elisa Cuciniello

SCRIVONO Emilia Biunno, Elisa Cuciniello, Irene Cinti, Sandro Ghisi, Tomas Kutinjac, Stefano Serri
- e per la rassegna DiversaMente - Alessandra Cava, Alessandra Ferrari, Antonio Raciti

ATTENZIONE! Questo blog è realizzato dal laboratorio in completa autonomia dal DMS dell’Università di Bologna

lunedì 7 dicembre 2009

LA BELLEZZA DELLO SQUILIBRIO

Abbiamo incontrato il Regista Alessandro Fantechi, direttore e fondatore di Isole Comprese Teatro, compagnia che si caratterizza per il suo lavoro di ricerca e sperimentazione, attraverso un teatro fatto di non-attori che coinvolge categorie sociali emarginate.

Come è nata Isole Comprese Teatro?
«Mi sono formato alla scuola Galante Garrone, pensando di fare l’attore, ho avuto diverse esperienze teatrali, dal teatro di strada al cabaret, sono stato addirittura stato a Zelig. Poi insieme a Elena Turchi, nella periferia fiorentina di Brozzi, abbiamo dato vita a un teatrino che negli anni è diventato un piccolo spazio di sperimentazione, un luogo per accogliere esperienze di carattere sociale, con laboratori che coinvolgevano i giovani della zona. Nel 1998 ho avuto la proposta di un laboratorio per ragazzi tossicodipendenti inseriti in comunità terapeutica. Non conoscevo questa realtà ed è stato un grande impatto, emotivo e formativo, che mi ha spinto al passaggio da attore a regista. Successivamente siamo stati invitati al teatro Metastasio, e in quell’occasione abbiamo dovuto mettere in scena lo spettacolo in modo professionale, cosa che ci ha imposto di costruire una compagnia stabile con i ragazzi del laboratorio.
Cercando il nome, un napoletano ci suggerì Isole Comprese proprio per l’idea di comprendere storie isolate, metaforicamente. È nata così la compagnia e l’esigenza fondamentale era di lavorare con non-attori, forse perché per me diventava più facile il lavoro di regista. Avevo trovato nei tossicodipendenti molta disponibilità, ed è la stessa ragione per cui oggi lavoriamo con i ragazzi down, come con il nostro Giovanni Pandolfini che non ha la fidanzata, non ha il telefonino, non ha proposte da altre compagnie ed è quindi sempre disponibile a condividere un progetto, anche se ci sono i lati faticosi della ripetizione, problemi attoriali, o dell’organizzazione del loro tempo che ci dobbiamo assumere come fossimo degli educatori. Non c’è mai stata un’esigenza di tipo sociale o terapeutico, ma solo artistico. In un primo momento quello che accadeva in scena aveva alla base l’idea di una trasformazione, di un percorso in cui persone disagiate incontravano il teatro per la prima volta, questo è un fatto molto interessante perché dà vita a un incontro nuovo, puro, un impatto fortissimo in cui affiorano degli sprazzi di verità, di vita vissuta, che è quello che a me interessa: grande fragilità, ma anche molta verità.
Ricordo che una volta c’era da fare la parte di un soldato che doveva ballare, ma un soldato non deve saper ballare e quindi scelsi come interprete un ragazzo che non aveva mai ballato. Vennero fuori delle fratture, delle imperfezioni, che sono quelle che danno il senso della realtà, nello squilibrio c’e questa bellezza».

Quando e come ha incontrato Filippo Staud? Come è nato il legame artistico con Pippo Bosè?
«Secondo la logica degli incontri, nel laboratorio che il giovedì tengo per i ragazzi del centro diurno di salute mentale Fili e Colori, è arrivato questo strano personaggio che io non conoscevo e che non avevo mai visto, dicendo: Mi chiamo Pippo Bosè, canto Super man e le canzoni di Miguel Bosè, sono famoso, sono un showman professionista con marchio Siae. Questa cosa mi ha incuriosito, quindi ho chiesto, tra le mie conoscenze, se qualcuno sapeva chi era e in molti ne avevano sentito parlare o l’avevano visto esibirsi. Sono andato su internet a cercare informazioni ed ho scoperto che c’erano molte persone che l’avevano incontrato, che lo seguivano, molti che lo stimavano: aveva dei fans e nella famosa Enciclopedia dei Matti era annoverato come il migliore tra questi! Circolavano anche delle leggende metropolitane su di lui, qualcuno sosteneva che prima era “normale” e poi cascando da un’impalcatura aveva perso la ragione.
Ripercorrendo così la sua storia, ho trovato un grosso legame con la mia, con gli anni '80 quando anche io facevo l’artista di strada in piazza Signoria a Firenze. Non averlo mai conosciuto risultava come un anello mancante nella mia storia teatrale, mi sentivo debitore nei confronti di questa persona.
Ho deciso di verificare le competenze di Pippo facendolo esibire al centro diurno, ma questo rapporto e la voglia di creare qualcosa insieme straripavano dalle attività del centro, che sicuramente non avrebbe potuto contenere un progetto più ampio. Sentivo il bisogno di fare di più, abbiamo così deciso di creare uno spettacolo.
Isole Comprese Teatro produce uno spettacolo solo quando succede qualcosa, quando incontriamo una storia che ci fa nascere l’esigenza di raccontarla. Infondo nessuno ci commissiona spettacoli, non abbiamo scadenze di rassegne o produttori. Ci siamo quindi chiesti se Pippo era in grado di memorizzare un testo, se fosse disponibile a lavorare, se poteva spostarsi per una tournèe e abbiamo fissato uno data a Cagliari, nel dicembre 2008, ospitati da un teatro sociale della città. È così che abbiamo iniziato a lavorare su Amleto».

Io e Amleto: qual è l’affinità con Shakespeare e quale è la poetica dello spettacolo?
«Mi son detto: diamogli un titolo riconoscibile, rassicurante, un’opera che la gente vede volentieri. Poi in un certo senso l’Amleto corrisponde anche a Filippo, con la sua situazione familiare che poteva essere amletica. Lui è un Amleto degli anni '80. Isole Comprese aveva già lavorato con questo testo in altre situazioni di disagio, constatando che l’atmosfera dei testi di Shakespeare si adatta perfettamente.
Abbiamo cominciato il lavoro sul testo e Pippo ha dato l’input, cioè che l’Amleto non lo voleva fare, non gli interessava, ricordo che mi disse: Amleto mi sta sulle palle, è un libro noiosissimo!
Così è venuto fuori un Amleto di vita, più che l’Amleto di Shakespeare. Nei venti minuti di video, che vengono proiettati durante lo spettacolo, Pippo interpreta alcuni personaggi del dramma con un linguaggio goliardico, sboccato, mentre in scena racconta la sua vita che, come dice Macbeth, “è una favola narrata da un idiota, tutto rumore e furia che non significa nulla”, un povero scemo che si agita sul palcoscenico, questo è lui, una vita fatta di niente, che pare epica ma in realtà non lo è, dove non c’è differenza tra felicità e tristezza e gli eventi si assomigliano. È una situazione dubbiosa, che riguarda l’essere.
Questo progetto è stato successivamente allargato perché abbiamo girato un documentario che uscirà il prossimo anno, è diventato anche una mostra perché Pippo scrive dei diari che sono pubblicati, ha una scrittura straordinaria, lui scrive sempre, e la traduzione di questi diari potrebbe diventare un’opera letteraria perché rappresentano un mondo eroico visto attraverso la televisione, con gli occhi di George Clooney e dei politici e con tutta la tristezza di una situazione di solitudine che lui sperimenta quotidianamente.
Portiamo in scena un’epopea vera, la storia di un personaggio che si è esibito allo stadio, che è andato a cantare a San Remo e che sforna inaspettatamente una professionalità straordinaria acquisita in tanti anni di teatro di strada. Pippo è molto comunicativo, non c’è teatro che tenga, lui quando fa spettacolo aspetta eccitato la fine per poter abbracciare il pubblico, per stabilire un contatto, riportandoci a un teatro popolare adatto a tutti, uno spettacolo divertente e tragico».

Perché l’uso del video nello spettacolo?
«Perché Pippo buca lo schermo e a me piace molto lavorare sull’immagine e sulla musica. Il video ci dà la possibilità di avere sempre una sicurezza, una fedeltà straordinaria, perché non subisce variazioni. Sta diventando una costante in quasi tutti i nostri lavori perché dà la possibilità alle persone di raccontare la loro verità sotto forma di intervista. In realtà stiamo progettando per i grandi teatri uno spettacolo dove in un primo momento verrà proiettato un documentario di circa cinquanta minuti e poi nella seconda parte metteremo in scena Io e Amleto».

Pippo Bosè – Filippo Staud. Che rapporto hanno tra loro?
«C’è un rapporto di amore-odio. Filippo Staud, la parte “normale”, sta a letto fino alle cinque, sta con la madre. Poi c’è Pippo Bosè, che è il suo alter ego, un personaggio completamente diverso da Filippo. È un provocatore, un intruso, ma è anche un conformista, gli piace vivere agiato, mangiare bene, gli piace la gente vip, rappresenta un uomo comune, l’italiano medio. Filippo attraverso il suo personaggio ha trovato un modo per fare amicizia, per incontrare la gente, e in questo senso si è salvato dando un senso alla sua vita, sa che è più conveniente essere Pippo Bosè, perché la realtà di Filippo Staud è miserabile».

Antonio Raciti

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