CHI SIAMO

Second Open Space Teatro presenta la seconda edizione bloggistica del laboratorio di scrittura critica focalizzato sugli eventi della stagione 2009 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti scenici.

S.O.S. come acronimo di Second Open Space, imperiodico foglio online scritto da studenti della Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell'Università di Bologna, che si cimentano con l'analisi e il racconto dello spettacolo, sotto la guida di Massimo Marino.
S.O.S. come segnale, allarme, chiamata all'intervento, alla partecipazione e alla collaborazione per creare e accrescere gli sguardi sulla realtà teatrale attraverso cronache, interviste, recensioni, approfondimenti.
S.O.S. come piattaforma online di soccorso al pensiero aperta a commenti, suggestioni, contributi esterni da parte dei lettori.

Buona navigazione!

DIRETTORE Massimo Marino

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Tomas Kutinjac

WEB Elisa Cuciniello

SCRIVONO Emilia Biunno, Elisa Cuciniello, Irene Cinti, Sandro Ghisi, Tomas Kutinjac, Stefano Serri
- e per la rassegna DiversaMente - Alessandra Cava, Alessandra Ferrari, Antonio Raciti

ATTENZIONE! Questo blog è realizzato dal laboratorio in completa autonomia dal DMS dell’Università di Bologna

venerdì 8 maggio 2009

PEZZI DI UN MONDO SPAZZATO VIA

Il progetto La voce del corpo- Gradus I si è concluso con lo spettacolo La Vita è Nuova del l'associazione Gérard de Nerval. L'incontro fra un gruppo formato da giovani attori e studenti che hanno seguito i corsi di arti performative al Teatro Duse e al Circolo Mazzini e il regista Marco Galignano ha dato vita allo spettacolo messo in scena all’Accademia delle Belle Arti.

La Vita è Nuova ci mette di fronte alla corruzione delle meraviglie del mondo ad opera dell’uomo. Un viaggio a ritroso nel tempo che dalla riunione dei potenti seduti intorno ad un tavolo, ci riporta alle prime forme di vita, gioiose e piene di speranza, tutto ciò con la costante presenza della Vita, che spazza via i pezzi di un mondo ormai distrutto.
Il tempo è scandito da corse frenetiche, cadute, salti, con le note di un pianoforte e di musica elettronica che fanno da sottofondo alle parole forse troppo “urlate” dei personaggi.
Interessante la resa dell’incomunicabilità degli uomini attraverso discorsi sconnessi e movimenti convulsi, peccato che poi si torni ad un tono quotidiano in maniera troppo repentina, senza soluzione di continuità.
A conclusione di tutto un dolce finale in cui la melodia del piano accompagna le parole della Vita, dedicate a tutti gli uomini.
La giovane compagnia è molto abile nel legare le diverse forme artistiche che compongono lo spettacolo, con un po’ più di esperienza riuscirà a dominare il pathos che, in questo primo caso, ha avuto la meglio sulla comprensione delle parole dette.

Emilia Biunno

mercoledì 6 maggio 2009

DALLE VISCERE DELLA TERRA, L'ECO DELL'UNIVERSO

Esse, opera musicata per un'attrice, Gabriella Rusticali/Monica Petracci

Ha qualcosa di misterioso e incandescente come la lava di un vulcano la voce di Gabriella Rusticali: fuso viscoso che nasce ad alte temperature al centro della Terra ed effonde, abbondante, in una colonna eruttiva. Il suo è un corpo profondo e oscuro come camera magmatica in cui le parole accartocciate vengono ruminate e impastate per poi ricomporsi in diversi stadi di materia vocale.
A farsi carne questa volta sono le musiche di Bob Dylan e Kurt Weill, nonché i testi di Carmelo Bene, Mariangela Gualtieri e Jeanette Winterson. Seguendo le sonorità della chitarra di Vanni Bendi, l’energia della storica attrice del Teatro Valdoca si fonde con le proiezioni di Monica Petracci in Esse. Opera musicata per un’attrice. La grafica cambia ad ogni vibrazione del canto e del suono con immagini che riproducono spazi incommensurabili oppure estremamente noti, le stelle o una spiaggia, un bosco incantato o un cane che corre, non importa.
È il ricordo di un mondo lontanissimo che forse non c’è più o magari è sempre in sottofondo, greve e pesante come l’eco del big bang: risonanza penetrante e arcana, sconosciuta o quotidiana, sicuramente sensuale e istintiva come la presenza del cane che sopraggiunge in scena e, ignaro del gioco, vive della spontaneità di una carezza.




Elisa Cuciniello

EFFIMERO DUETTO

Giovanni Scarcella e Lisa De Boit in Ultime Exil al vecchio TPO bolognese

Prima di entrare nello spazio della performance, le maschere avvisano il pubblico di stare attenti nel raggiungere il proprio posto perchè “si vede male”. Ma più che essere concentrati a non inciampare su qualche cavo o scalino, lo spettatore viene colto da un senso di angoscia e disorientamento: lo spazio è pieno di nebbia (artificiale). Gradualmente si riconoscono i contorni di pochi oggetti scenici, tavolo e sedie, e dei due danzatori posizionati sui lati opposti della stanza. É un duetto esasperato quello di Lisa De Boit e Giovanni Scarcella, nucleo della compagnia italo-belga Giolisu. Il tutto sembra essere sull’orlo di un abisso: l'unica cosa che potrebbe cancellare i tentativi di riconciliazione è la morte. La partitura fisica, un misto tra lirismo, crudezza ed espressione di emozioni, è a tratti schizofrenica, imprevedibile, a tratti fluida e desolata. I due poli della stanza, come un più e un meno, tendono ad attrarsi ma anche opporsi, evocando temi come solitudine, ricerca di luoghi di simbiosi, un possibile sentiero sul quale continuare insieme mano nella mano. La banalità e la monotonia delle tematiche scelte è confermata dallo stesso Scarcella sulla cui maglietta c'é scritto “Today everything seems the same”.

Tomas Kutinac

DIALOGO IN-INTEROTTO FRA LE ARTI

Il primo movimento del Progetto Strategico per riappropriarsi della voce del corpo


L’accelerazione di vita cui siamo sottoposti ci inietta ritmi e accenti del tutto estranei al nostro essere e provoca lo smarrimento di un corpo che, inconsciamente interrotto, non riconosce più i suoi in-interrotti flussi. C’è una via di fuga? come riappropriarsi dei movimenti interiori, rintracciabili solo nello spazio-tempo intimo dove impeti e sussulti hanno il ritmo dell’eterno?
‘Abbiamo solo bisogno di imparare a governare le frequenze’: è limpida la risposta de La voce del corpo, progetto Strategico d’Ateneo ideato da Marco Galignano, regista, attore e pedagogo che indaga la possibile integrazione tra ricerca medica e aspetti spettacolari dell’arte. Riunendo artisti provenienti dai contesti espressivi più disparati egli ha dato vita a uno straordinario percorso di ricerca, che parte dalla riappropriazione di un uso cosciente di corpo e voce per un ripensamento generale del processo creativo e della pedagogia artistica. Ri-formarsi a partire quindi da ciò che ci è più vicino eppure tanto sconosciuto: il corpo, prima macchina della nostra espressività ormai così confusa nello stridolio di ingranaggi artificiali.
I giovani maestri coinvolti nel progetto, tutti gravitanti nel polo bolognese, hanno unito ricerche e tecniche dei loro ambiti disciplinari e sono arrivati a scoprire insieme come l’arte, nel processo che le dà forma e negli ingredienti che utilizza, può essere veicolo per un nuovo benessere psico-fisico.
Luogo in-interotto è stato il primo momento spettacolare che ha dato visibilità al progetto e nella multiforme varietà delle proposte ha mostrato come il corpo radiografato o riscoperto, ostentato o destrutturato, può diventare un luogo di contaminazione culturale.
Dieci le proposte presenti per la prima serata negli spazi dell’Accademia di Belle Arti, che per l’occasione ha ripreso caleidoscopicamente vita trasformando ogni angolo in uno scrigno di afflati e palpiti tangibili.
La danza, in tutte le sue declinazioni, non poteva che essere uno degli strumenti privilegiati per presentare l’indagine sul corpo attraverso gesti e movimenti che lo riconnettono ai suoi meccanismi più profondi, nonché alle leggi dell’ambiente in cui è immerso.
È stato così per le opere proposte da Melissa Pasut, tanto nella coreografia Purging, frutto di un’esplorazione dei limiti corporali e i metodi per raggiungerli, quanto nel video An intuitive conversation, in cui la danzatrice entra in dialogo con i segreti ritmi della natura, costanti e imprevedibili, come il mare, ambientazione privilegiata per un passo a due attraverso cui il corpo umano cerca di confrontarsi e adattarsi alle inattese variazioni di onde, riflessi abbaglianti e risacche.
Del tutto differente è la ricerca di Simona Bertozzi (compagnia Laudati danza di Bologna), che nel video Terrestre, movement il still-life (regia di Celeste Taliani) costruisce lo spazio attraverso movimenti liberi di vagare nella memoria fatta di casualità non caotica, uno spazio del tempo in cui il corpo riesce ad ascoltare la sua dinamicità, riconoscere il peso e la gravità, percependo il comando primordiale che coniuga volontà e istinto.
Nell’indagine del gruppo di ricerca, il rapporto instaurato con lo spazio è anche quello di un gioco, una scoperta, una violazione in cui il corpo ritrova armonie e disarmonie: così Segue, performance-installazione ideata da Monica Rimondi come sequenza di azioni e reazioni in uno spazio-tempo che, trasgredito e invaso, non possa più ingabbiare entro strutture pre-determinate; o ancora Emil, performance di danza in divenire e in costruzione senza limiti prefisssati, di e con Antonella Boccadamo.
Ma non solo danza. Lo spettatore, munito di mappa orientativa, era libero di scegliere il suo percorso o di perdersi dietro ogni angolo, richiamato da un bagliore, un profumo, un’eco lontana di suoni sconosciuti o di venir sorpreso da Anime da cortilaccio, incursioni teatrali proposte da Matteo Garattoni fra le macerie e i frammenti di ricordi abbandonati.
Variazione sul tema è anche il corpo come voce, vibrazione. La performance vocale di Rocìo Rico Romero, molto più che un canto, è un’esperienza che coinvolge i sensi in modo totale permeando la stanza e avvolgendo i corpi di sonorità estatiche: l’interazione delle tecnologie con il corpo-voce come altra possibilità di estendere i limiti del corpo e superarli senza perdere la magia di un’emozione viva.
E poi ancora installazioni di video arte a cura degli studenti dell’Accademia o le spiegazioni dal sapore new age sulle sincronizzazioni fra tempo e spazio alla ricerca di un ritmo più umano proposte da Giovanna Battistini.
Parola d’ordine ‘governare le frequenze’ dunque, come viene ripetuto in Prima forma di cielo , interessante performance che può dirsi sintesi di questo primo assaggio di progetto interdisciplinare. Sulla base di una partitura aleatoria si confrontano e compenetrano cinque corpi performativi (Eleonora Beddini, Marco Galignano, Germana Giannini, Giovanni Scarcella, Silvia Traversi), tra musica dal vivo, canto, proiezioni, flash e voci contraffatte in corpi disarticolati: linguaggi differenti si amalgamano, riflettono sulla densità della carne e la fanno attraversare da più esperienze possibili, creando circostanze.
Dal luogo a essa dedicato, l’arte ne esce rinnovata, proiettata nel futuro, contaminata. Atto creativo e studio delle sue intime leggi farciscono l’ideale tavolozza di colori con cui ri(n)tracciare un’unità fisico-emotiva che raggiunge la sua completezza espressiva nello spazio, sia quello geometrico e matematico fatto di pesi gravità e tridimensionalità, sia quello impercettibile della memoria, del tempo fatto di immagini e ricordi.


Elisa Cuciniello

NELLA BOTTEGA DI SHAKESPEARE

Incontro con Valter Malosti e Massimiliano Civica sulle occasioni di sperimentazione offerte dal Bardo


"Shakespeare è come il mondo, o come la vita. Ogni epoca vi trova quello che cerca e quel che vuole vedervi". Così il critico polacco Jan Kott sancisce l’atto di fede nei confronti del Grande Will, nella convinzione di potersi accostare a un tale universo di valori storici senza tuttavia falsarli. Lo spunto per tornare a riflettere se e quanto questo assunto possa essere ancora valido arriva dal progetto Ri-scuotere Shakespeare che Silvia Mei ha curato per La Soffitta, riunendo alcuni fra i più interessanti allestimenti di testi scespiriani nella scena teatrale italiana: Venere e Adone di Valter Malosti, Riccardo III di Oscar De Summa e Il mercante di Venezia di Massimiliano Civica, tre traduzioni sceniche differenti per le soluzioni drammaturgico-registiche adottate ma vicine in quanto a spoliazione e scarnificazione, rinfunzionalizzazione di dialoghi e azioni. Presso i laboratori DMS abbiamo incontrato due dei protagonisti di queste riletture e ancora una volta rievocare il fantasma del Bardo ha voluto dire entrare in un caleidoscopio di possibilità per scandagliare la totalità dell’evento teatrale. Non solo testi, dunque, e non tanto contemporaneità di temi e valori. Mettere in scena Shakespeare oggi è piuttosto una vera iniziazione, un confronto con una esperienza esoterica, una bottega in cui sporcarsi le mani, mettere in gioco strumenti diversissimi e procedere poi per riduzione e sottrazione. E così Malosti e Civica, pur avendo alle spalle un percorso di formazione diversissimo, si tuffano in Shakespeare e ne escono imbevuti di meccanismi scenici più latenti che paradossalmente proprio quelle parole, scandagliate e ritradotte, fanno scoprire.
Valter Malosti, attore e regista pressoché autodidatta, sceglie il sonetto Venere e Adone dopo un Macbeth che non aveva riscosso grande consensi e parte proprio dalla possibile difficoltà di lettura dei diversi piani espressivi di quello spettacolo per concentrarsi sul testo come banco di prova di un lavoro musicale su lingua e corpo.
Schizofrenica, invece, la formazione di Massimiliano Civica, in un’oscillazione tra sperimentazione e tradizione, che nel suo lavoro si coniuga in una tradizione del nuovo, in cui quindi nessuna delle due esperienze esce privata di essenzialità, permettendo anzi una ricomposizione del significante che porta a una fondamentale decriptazione del messaggio e dei contenuti. Nella scena scarna del suo Mercante di Venezia l’espressività è ridotta al minimo, tutti parlano nello stesso modo e a bassa voce, trasportandoci nella successione di una litania, quasi in una preghiera.
La nuova scena italiana non esita a porsi tra le fila dei grandi che hanno sperimentato soluzioni linguistiche ed estetiche innovative a partire da testi secolari come quelli del Bardo, rinnovando così il sospetto che fra gli spazi bianchi delle pagine shakespeariane si nascondessero altre lettere che ri-composte ri-cucirebbero anche un pensiero sulla vita e sul teatro, in genere stritolato e sgranato negli ingranaggi della storia.

Elisa Cuciniello

IL POTERE LOGORA CHI NON CE L'HA

Curioso e particolare, il Riccardo III di Oscar De Summa, tratto liberamente da Shakespeare. Lo spettacolo si apre con il protagonista al centro del palco, la scena è nuda: completamente immerso nel buio, Riccardo III inizia a parlare. L’attore è vestito solamente di una pesante pelliccia, indossa anfibi, in mano ha una pila e un bastone che cupamente fa risuonare a terra. Bastano pochi oggetti a Oscar De Summa e una recitazione divina per conquistare il pubblico e penetrare nello sguardo degli spettatori attenti e partecipi allo spettacolo. L’attore-regista passa da una recitazione naturalistica a un iperrealismo caricaturale attraverso cui riesce a dialogare con se stesso, con il pubblico e con altri personaggi immaginari. Il regista così definisce il suo lavoro: “Grottesco come Ubu, riflessivo come Amleto, astuto come Jago, rivoluzionario come Danton : Riccardo III non è niente in sé, e proprio per questo può diventare tutto, adattarsi alle forme, cambiare aspetto e modi, per essere esattamente ciò che serve, ciò che è necessario per conquistare il potere, per poterlo mantenere”.
Il potere per Riccardo III non è una definizione astratta, un concetto, un simbolo ma una cosa precisa che si può prendere in mano, mettere sulla testa, ha un peso, una forma : è la corona. Egli la cerca, la chiede, la invoca, la desidera e la supplica solo alla fine. Ottima la performance di Oscar De Summa che, solo con l’aiuto di due candele, una torcia elettrica e un’irruzione di musiche continue, ha colpito l’immaginazione e il cuore dello spettatore.


Irene Cinti