Tempo di Smetterla di Andreina Garella
Un corpo femminile segnato dal tempo e dalla malattia compare nell'oscurità di una scena nuda. Avanza tenendo tra le grandi mani nervose un palloncino rosso. Indossa il colore dell'istinto e dell'oscurità dell'ignoranza caratteristico della cultura Indiana: il nero. È illuminata da una luce netta, fredda, e ha l'espressione sapiente di chi ha conosciuto la vita, quella vera, e può svelarne i segreti. Ci incanta con i suoi occhi magnetici, e poi ci scopre basiti dalle sue domande: "Cosa potremmo farcene di un'ipotetica libertà se viviamo una vita di inconsce sottomissioni"?
Sarà lei a guidarci lungo tutto il percorso di Tempo di smetterla, scritto e diretto da Andreina Garella e messo in scena dai ragazzi del centro di salute mentale di Reggio Emilia e Festina Lente Teatro.
"Il treno ha fischiato" , il viaggio inizia! La musica incalzante spinge in scena personaggi affannati nel tran tran della loro quotidianità. Vestono di bianco e di nero, un chiaro riferimento alla dualità intrinseca dell'uomo. Si scontrano, si incontrano, si salutano e si lasciano.
Cambia la musica e come in un déjà vu ci immergiamo in quell'iniziale atmosfera mistica per ritrovare la nostra guida. Questa volta il palloncino rosso lo stringe forte al petto, come fosse un bambino. Ha lo sguardo severo. Vorrebbe sgridarci perché "è tempo di smetterla con la solitudine, con l'indifferenza, con i confini, con i muri, con i divieti di accesso. Bisogna correre, ma poi fermarsi, incontrarsi e sognare perché è il nostro tempo e non ne abbiamo un altro". Gradualmente tutta la compagnia interviene a sostegno di quella che ormai ci sembra una "grande madre". Anche loro pensano che "è tempo di smetterla... e di volare, volare, volare".
Nuovamente la situazione si ribalta, ora è tempo di cantare e danzare sulle note di un"cuore matto". Un breve istante per accarezzarsi e sorridere, per sfiorarsi e godere. Un tempo da vivere intensamente, prima di vederlo sparire nella bestialità degli uomini.
Uno spettacolo impegnato e impregnato di rovesciamenti finemente orchestrati, che faranno affiorare piccole e grandi verità da gridare a una società sorda. Un bisogno di rivendicare il diritto di essere uomini emozionabili ed emozionati.
Andreina Garella ha confezionato un'opera che lascia l'amaro in bocca. Permettendo ai suoi attori di esprimersi liberamente è riuscita a sfondare ogni barriera e ad entrare, senza aver bussato, nell'animo degli spettatori. Muovendo i suoi personaggi con una pulizia scenica tipica dei grandi maestri, non ci ha lasciato dubbi sulle sue scelte registiche. È in questo modo che, partendo dalla via tracciata da Basaglia, muove una profonda riflessione sul rapporto della cultura e della società con la diversità. Un viaggio utopico "nel mondo come dovrebbe essere".
Un solo ingombrante enigma ci lacera a fine spettacolo: c'è tempo per smetterla?
Un corpo femminile segnato dal tempo e dalla malattia compare nell'oscurità di una scena nuda. Avanza tenendo tra le grandi mani nervose un palloncino rosso. Indossa il colore dell'istinto e dell'oscurità dell'ignoranza caratteristico della cultura Indiana: il nero. È illuminata da una luce netta, fredda, e ha l'espressione sapiente di chi ha conosciuto la vita, quella vera, e può svelarne i segreti. Ci incanta con i suoi occhi magnetici, e poi ci scopre basiti dalle sue domande: "Cosa potremmo farcene di un'ipotetica libertà se viviamo una vita di inconsce sottomissioni"?
Sarà lei a guidarci lungo tutto il percorso di Tempo di smetterla, scritto e diretto da Andreina Garella e messo in scena dai ragazzi del centro di salute mentale di Reggio Emilia e Festina Lente Teatro.
"Il treno ha fischiato" , il viaggio inizia! La musica incalzante spinge in scena personaggi affannati nel tran tran della loro quotidianità. Vestono di bianco e di nero, un chiaro riferimento alla dualità intrinseca dell'uomo. Si scontrano, si incontrano, si salutano e si lasciano.
Cambia la musica e come in un déjà vu ci immergiamo in quell'iniziale atmosfera mistica per ritrovare la nostra guida. Questa volta il palloncino rosso lo stringe forte al petto, come fosse un bambino. Ha lo sguardo severo. Vorrebbe sgridarci perché "è tempo di smetterla con la solitudine, con l'indifferenza, con i confini, con i muri, con i divieti di accesso. Bisogna correre, ma poi fermarsi, incontrarsi e sognare perché è il nostro tempo e non ne abbiamo un altro". Gradualmente tutta la compagnia interviene a sostegno di quella che ormai ci sembra una "grande madre". Anche loro pensano che "è tempo di smetterla... e di volare, volare, volare".
Nuovamente la situazione si ribalta, ora è tempo di cantare e danzare sulle note di un"cuore matto". Un breve istante per accarezzarsi e sorridere, per sfiorarsi e godere. Un tempo da vivere intensamente, prima di vederlo sparire nella bestialità degli uomini.
Uno spettacolo impegnato e impregnato di rovesciamenti finemente orchestrati, che faranno affiorare piccole e grandi verità da gridare a una società sorda. Un bisogno di rivendicare il diritto di essere uomini emozionabili ed emozionati.
Andreina Garella ha confezionato un'opera che lascia l'amaro in bocca. Permettendo ai suoi attori di esprimersi liberamente è riuscita a sfondare ogni barriera e ad entrare, senza aver bussato, nell'animo degli spettatori. Muovendo i suoi personaggi con una pulizia scenica tipica dei grandi maestri, non ci ha lasciato dubbi sulle sue scelte registiche. È in questo modo che, partendo dalla via tracciata da Basaglia, muove una profonda riflessione sul rapporto della cultura e della società con la diversità. Un viaggio utopico "nel mondo come dovrebbe essere".
Un solo ingombrante enigma ci lacera a fine spettacolo: c'è tempo per smetterla?
Antonio Raciti
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