"Shakespeare è come il mondo, o come la vita. Ogni epoca vi trova quello che cerca e quel che vuole vedervi". Così il critico polacco Jan Kott sancisce l’atto di fede nei confronti del Grande Will, nella convinzione di potersi accostare a un tale universo di valori storici senza tuttavia falsarli. Lo spunto per tornare a riflettere se e quanto questo assunto possa essere ancora valido arriva dal progetto Ri-scuotere Shakespeare che Silvia Mei ha curato per La Soffitta, riunendo alcuni fra i più interessanti allestimenti di testi scespiriani nella scena teatrale italiana: Venere e Adone di Valter Malosti, Riccardo III di Oscar De Summa e Il mercante di Venezia di Massimiliano Civica, tre traduzioni sceniche differenti per le soluzioni drammaturgico-registiche adottate ma vicine in quanto a spoliazione e scarnificazione, rinfunzionalizzazione di dialoghi e azioni. Presso i laboratori DMS abbiamo incontrato due dei protagonisti di queste riletture e ancora una volta rievocare il fantasma del Bardo ha voluto dire entrare in un caleidoscopio di possibilità per scandagliare la totalità dell’evento teatrale. Non solo testi, dunque, e non tanto contemporaneità di temi e valori. Mettere in scena Shakespeare oggi è piuttosto una vera iniziazione, un confronto con una esperienza esoterica, una bottega in cui sporcarsi le mani, mettere in gioco strumenti diversissimi e procedere poi per riduzione e sottrazione. E così Malosti e Civica, pur avendo alle spalle un percorso di formazione diversissimo, si tuffano in Shakespeare e ne escono imbevuti di meccanismi scenici più latenti che paradossalmente proprio quelle parole, scandagliate e ritradotte, fanno scoprire.
Valter Malosti, attore e regista pressoché autodidatta, sceglie il sonetto Venere e Adone dopo un Macbeth che non aveva riscosso grande consensi e parte proprio dalla possibile difficoltà di lettura dei diversi piani espressivi di quello spettacolo per concentrarsi sul testo come banco di prova di un lavoro musicale su lingua e corpo.
Schizofrenica, invece, la formazione di Massimiliano Civica, in un’oscillazione tra sperimentazione e tradizione, che nel suo lavoro si coniuga in una tradizione del nuovo, in cui quindi nessuna delle due esperienze esce privata di essenzialità, permettendo anzi una ricomposizione del significante che porta a una fondamentale decriptazione del messaggio e dei contenuti. Nella scena scarna del suo Mercante di Venezia l’espressività è ridotta al minimo, tutti parlano nello stesso modo e a bassa voce, trasportandoci nella successione di una litania, quasi in una preghiera.
Valter Malosti, attore e regista pressoché autodidatta, sceglie il sonetto Venere e Adone dopo un Macbeth che non aveva riscosso grande consensi e parte proprio dalla possibile difficoltà di lettura dei diversi piani espressivi di quello spettacolo per concentrarsi sul testo come banco di prova di un lavoro musicale su lingua e corpo.
Schizofrenica, invece, la formazione di Massimiliano Civica, in un’oscillazione tra sperimentazione e tradizione, che nel suo lavoro si coniuga in una tradizione del nuovo, in cui quindi nessuna delle due esperienze esce privata di essenzialità, permettendo anzi una ricomposizione del significante che porta a una fondamentale decriptazione del messaggio e dei contenuti. Nella scena scarna del suo Mercante di Venezia l’espressività è ridotta al minimo, tutti parlano nello stesso modo e a bassa voce, trasportandoci nella successione di una litania, quasi in una preghiera.
La nuova scena italiana non esita a porsi tra le fila dei grandi che hanno sperimentato soluzioni linguistiche ed estetiche innovative a partire da testi secolari come quelli del Bardo, rinnovando così il sospetto che fra gli spazi bianchi delle pagine shakespeariane si nascondessero altre lettere che ri-composte ri-cucirebbero anche un pensiero sulla vita e sul teatro, in genere stritolato e sgranato negli ingranaggi della storia.
Elisa Cuciniello
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