CHI SIAMO

Second Open Space Teatro presenta la seconda edizione bloggistica del laboratorio di scrittura critica focalizzato sugli eventi della stagione 2009 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti scenici.

S.O.S. come acronimo di Second Open Space, imperiodico foglio online scritto da studenti della Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell'Università di Bologna, che si cimentano con l'analisi e il racconto dello spettacolo, sotto la guida di Massimo Marino.
S.O.S. come segnale, allarme, chiamata all'intervento, alla partecipazione e alla collaborazione per creare e accrescere gli sguardi sulla realtà teatrale attraverso cronache, interviste, recensioni, approfondimenti.
S.O.S. come piattaforma online di soccorso al pensiero aperta a commenti, suggestioni, contributi esterni da parte dei lettori.

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DIRETTORE Massimo Marino

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Tomas Kutinjac

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SCRIVONO Emilia Biunno, Elisa Cuciniello, Irene Cinti, Sandro Ghisi, Tomas Kutinjac, Stefano Serri
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ATTENZIONE! Questo blog è realizzato dal laboratorio in completa autonomia dal DMS dell’Università di Bologna

martedì 17 marzo 2009

DUE UOMINI ROSA

SHAKESPEARE/VENERE E ADONE - Valter Malosti

Due colori, il bianco e il rosso, combattono macchiando la storia di ogni arte che avvicina l’amore; si trovano, variamente intrecciati, anche nel poema di Shakespeare Venere e Adone, tradotto e messo in scena da Valter Malosti. All’inizio la verginità ritrosa del ragazzo (l’amico bianco e bianco nemico) combatte contro il desiderio scarlatto della dea, su una pedana quadrata di ottanta centimetri appena. Nel finale, il sangue cola dai gigli, ribadendo la separazione tra le due tinte. Non è mai possibile dunque la sintesi, il rosa?
Rispettando la scrittura lirica con l’interpretazione a una sola voce, la Venere di Malosti ne copre ogni voce, del narratore come dei personaggi, mentre Daniele Trastu è il corpo muto e danzante di un Adone spogliato, abbracciato e percosso. A fatica, dopo ritrosie e incitamenti, arriva un bacio. Solo una notte è trascorsa insieme: il giorno dopo la dea scopre che l’amato, e con lui l’amore, è morto durante la caccia. Dalle sue ferite nascono gli anemoni e s’imporporano anche le rose, i fiori di Venere fino allora pallidi. Una traduzione lineare e fedele, incipriata appena dall’inflessione partenopea che insaporisce la recitazione della dea, è alla base di una polifonia potenziata dall’uso di microfono, registrazioni ed effetti sonori. L’immancabile Purcell si mescola ad altre tracce musicali, per lo più novecentesche; per Adone, ecco un clavicembalo sovrapporsi al segnale acustico di un telefono in attesa o occupato. Sul palco, un carrello scorre portando i due interpreti, circondato da una scena essenziale rianimata dalle luci.
L’interrogativo iniziale torna anche a proposito della scrittura scenica: il bianco della poesia e il rosso dello spettacolo riescono a unirsi? Sembra regnare la dissociazione: un corpo parla e l’altro si muove, la scena si fa dinamica tramite le luci ma gli attori restano inchiodati a una piattaforma. Il rumore, anzi, il suono è rosa: la mediazione avviene nella dimensione fonica, al crocevia tra emissione corporea e semantica testuale. Non solo sintesi ma dialogo e tentativo di sedursi e compenetrarsi.
La prerogativa dell’uomo, rispetto a dei e animali, non è avere il sangue o l’anima, ma entrambe: solo l’uomo ha la pelle. L’evocazione delle bestie, dal cinghiale portatore di morte ai cavalli che incarnano il desiderio sfrenato, permette all’interprete brani fragorosi che strappano applausi. Il divino si veste d’impotenza e nostalgia, sconfitto alla fine, nonostante vane invocazioni, da qualcosa troppo grande: la morte.
Nel 1593 la peste costringeva Londra a chiudere i teatri; in quell’anno il bardo pubblicava il poema erotico-pastorale, drammatico in potenza se non nella forma. Il tema era adeguato al propagarsi dell’epidemia: il decadere della bellezza fino alla sua morte. Il dedicatario era Henry Wriothesley, conte di Southampton; il legame erotico tra i due, riverberato anche nei sonetti, arricchisce l’interpretazione en travesti di Malosti con richiami extratestuali, come evidenzia il titolo. Le indagini biografiche su quel rapporto non sono del tutto esaurienti; ci piace pensare che anche in questa coppia di uomini, mascherati in fiori e divinità con la poesia, forse si è realizzato questo colore così difficile.

Stefano Serri

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