Un uomo sorridente, ci è sembrato arrivasse da lontano. Con una piccola valigia è sceso per le scale dell'ingresso alla sala come fossero quelle di un aeroplano che l'avesse portato lì, giusto in tempo per l'inizio dello spettacolo. Ma a quel punto sapevamo già tutti chi fosse. L'avevamo appena incontrato: prima come immagine nella foto proiettata sulla scena, un viso di bambino tra i bambini, in una classe elementare di quasi cinquant'anni fa; poi attraverso la voce di chi lo ha conosciuto, nelle video-interviste girate a Firenze, dove quasi l'intera città continua a collezionare ricordi delle sue improbabili esibizioni improvvisate per strada. Filippo Staud, in arte Pippo Bosè, definito da se stesso «showman professionista qualificato», quando è apparso tutto intero davanti a noi, nel salutare il pubblico agitando la mano sopra un sorriso dolcissimo, non sembrava più reale. O meglio, troppo vero per essere vero. Se tutti abbiamo una storia e se la nostra storia fa di noi quello che siamo, Pippo Bosè è la sua storia e nel momento esatto in cui coincide con essa, si dissolve. «Ogni trovata è persa», per dirla con Carmelo Bene - grande sottrattore di Amleti - per questo Amleto che si frantuma nell'impatto frontale con l'io del titolo. Io e Amleto o dell'incontro impossibile: Pippo è Amleto, lo è diventato perché l'ha masticato, ingoiato e digerito, restituendocelo a pezzetti tra singhiozzi, lustrini e canzonette. Non a caso l'unico personaggio di cui non veste i panni è proprio quello del principe di Danimarca: nei video che catapultano in scena i travestimenti di Pippo, appaiono deliziosi e volgari Claudio, Gertrude, Ofelia e persino un clownesco Yorick, il cui teschio campeggia però in un angolo della scena, accanto alla quinta da cui Pippo entra ed esce durante lo spettacolo. Così come la sua immagine e la sua voce, le storie vanno in pezzi e si moltiplicano: Staud si confonde con Bosè, Bosè con Amleto, Amleto con la Storia. Mentre Pippo snocciola l'ipnotica cronologia della sua esistenza fuori dall'ordinario, il dee-jay in scena - regista a vista che incolla i frantumi delle trame - ne accompagna il rosario con i successi musicali dell'epoca. «Tutto è bene quel che non finisce mai» asserisce Pippo deformando Shakespeare. Eppure, anche questo spettacolo si esaurisce. Lo showman si congeda con uno struggente baciamano e ci lascia soli, come ogni volta, all'uscita del teatro.
Alessandra Cava
Alessandra Cava
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